Non riesco a dormire. Gli sbadigli fanno eco sul palmo della mia mano destra, lo stomaco borbotta qualcosa di incomprensibile e le dita assecondano il flusso delle parole. In questo momento la mia stanza è buia; una camera oscura nella quale sviluppo i negativi della mia esistenza per trarne beneficio. Mi sento bene. Adoro l’attività onirica e mi auguro che il sonno non tardi a dare inizio al lavorìo del mio inconscio. Torno a bordo delle coperte per tentare nuovamente di mettere in moto la macchina della realtà dormiente.
Anche oggi mi sono alzato alle cinque di pomeriggio. Ho mangiato qualcosa, ho guardato le notizie del giorno, ho ascoltato qualche album e infine mi sono dedicato al mio corpo; molte serie di pesi e due corse notturne. Mi piace sentire il mio organismo sotto sforzo e adoro come la fatica riesce ad eliminare le impurità della mia mente; frustrazione, disagio, noia. Ho intitolato queste righe “Relax tonificante” perché la mia vita è un continuo rilassamento nel quale mi prodigo per mantenere la mia mente e la mia carne in ottime condizioni. Mi piace essere lucido e voglio fare tutto ciò che posso per evitare che qualcosa comprometta la mia percezione della realtà. So che mi attendono ancora molti giorni solitari privi di calore umano, ma non ne sono spaventato. Sto sorridendo. Voglio avere una vita longeva nonostante io non abbia motivi apparenti per desiderarla. Finisco la mia tazza di thè e mi dirigo vicino alle lenzuola; per me è il momento di dormire, ma non per sempre.
In questi giorni non faccio altro che correre e alzare pesi. Avverto qualche dolore al collo e alle spalle perché non sono ancora abituato ai nuovi ritmi di allenamento che mi sono imposto. Cerco di incanalare nello sforzo fisico tutta la mia rabbia latente; in psicologia questo processo si chiama sublimazione. Sono stanco e solo, ma riesco ancora a sollevare la testa. Non ho mai mandato SOS di fumo con la nicotina, non ho mai versato il mio senso di vuoto sulle rive dell’alcol, non mi sono mai dilettato con le droghe, non ho mai affidato la mia vita alla follia della religione, non ho mai potuto fare affidamento su amicizie invisibili, non ho avuto un padre benché io non sia orfano e non ho mai conosciuto le dolci cure di una qualsiasi forma d’amore. Trovo che tutta questa negazione sia un’occasione per dimostare a me stesso la mia forza e la mia resistenza. Tutti i rifiuti che ho ricevuto non mi hanno fatto diventare un individualista, ma hanno accresciuto in me la convinzione che occora essere almeno in due per rasentare la felicità. So che esistono sentimenti splendidi e non sarà certo una diffusa ritualità, che accetta solo il lato carnale e d’interesse di ogni situazione, a convincermi del contrario.
La Terra ha invertito il suo moto rotatorio, l’eugenetica ha sorpassato il confine della ragione e ha riscritto il genoma umano. I libri di geografia descrivono l’unico continente sopravvissuto alle acque; l’ultima Atlantide del nostro sistema solare. Città fatiscenti, lugubri, popolate dall’istinto e protette dalle leggi della selezione naturale. Non esiste più la nebbia, solo i vapori tossici e le polveri delle rovine urbane trovano ancora posto nella troposfera. Vecchi televisori rovesciati mostrano la vacuità mediatica del ventunesimo secolo e oggi come allora sono i più deboli a seguire con vana speranza le antiche repliche di Canale 5; si apre il sipario sull’ultimo show. Non esistono più ideali, religioni o differenze etniche; l’unico credo è quello dei carnivori. Le droghe sono state surclassate dalla realtà. Esseri non più umani si accoppiano per cibarsi della loro prole. In un vicolo impenetrabile continua a girare un vecchio vinile, ma non c’è più nessuno che possa percepire la sua melodia. Questo non è il futuro, ma solo una proiezione del mio trisavolo. Egli si faceva chiamare Team84 durante i primi anni del secondo millennio. A distanza di tanto tempo mi piacerebbe che vedesse il ventiduesimo secolo e la nuova speranza del genere umano.
Ho trascorso un paio di ore in compagnia di due conoscenti di lunga data; ho respirato un po’ di fumo passivo e mi sono fatto qualche risata. In questo momento la mia mente è disabitata perché nessun pensiero riesce a viverci abusivamente. Il tronco del mio corpo tenta di seguire le note isteriche di “Sweet Sue, Just You” di Miles Davis. Nei prossimi minuti ho intenzione di guardare un film, bere del thè, sistemare più volte il cuscino e lasciare che la mia quiete apparentemente solipsistica mi culli. È improbabile che io abbia raggiunto la pace dei sensi a ventuno anni e mi auguro che tutta la mia attuale tranquillità non sia altro che il preludio di meravigliose difficoltà; una rotta impervia per raggiungere l’eldorado emotivo. Il tempo è un nemico che avanza lentamente, ma non lo temo perché so che può diventare un prezioso alleato quando l’assetto degli eventi muta radicalmente. È notte e credo che tanti non sappiano che possono essere lieti da un momento all’altro.
È sabato pomeriggio e molti stanno facendo i preparativi per i bagordi della notte. Io, come al solito, non ho in programma nulla per il sesto giorno della settimana. Forse più tardi uscirò e inizierò a vagare senza meta per le strade della mia cittadina, nelle vesti del Kerouac di provincia o del Bukowski sobrio. So già che scambierò occhiate di indifferenza con i miei coetanei e con pittoreschi personaggi ormai vegliardi. Devo ammettere che alcune volte mi piace camminare con il senso di vuoto che mi avvolge, perché mi fa credere di essere un derelitto in attesa del suo necrologio sgrammaticato. Non sono un pessimista e un po’ mi dispiace. Non riesco a trattenermi da un’ilarità immotivata solo per preservare l’alone di carenza umana che mi caratterizza e perciò rido di me stesso e degli altri, bestemmio ricercando la tipica cadenza toscana e mi gusto tutte le mie scariche sarcastiche. Quest’oggi mi piacerebbe scambiare effusioni davanti a un camino, ma per ora riesco solo mercanteggiare legna in cambio di un fuoco che non riesce a scaldare il mio eremo interiore.
Sento la mancanza delle mie sembianze fetali. Vorrei tornare nel grembo materno, aggrapparmi al cordone ombelicale e gioire nella mia forma prenatale. In questi giorni non c’è calore umano, la trincea è sempre più fredda e attorno al vuoto si dilatano distese di ghiaccio a perdita d’occhio. Mi diletto a guardare la caduta dei rami e gli affreschi provvisori delle nubi. Non so più parlare e il mio fucile semiautomatico non ricorda come si spara. Non sono di stanza al fronte. Sono di stanza nella mia stanza. Il tic tac di un orologio invisibile mi ricorda un impegno notturno: una breve corsa lungo le mura di ponente per tenermi in forma. Vorrei scolpire una nuova vita sulle rughe che mi aspettano e poi guardarmi allo specchio durante le prime luci di una qualsiasi domenica mattina.
Mi sono alzato alla quattro di pomeriggio e ho passato le ultime cinque ore ad ascoltare musica. In questo momento mi sto godendo le note distorte di “Scum”, un album leggendario dei Napalm Death. Più tardi uscirò a correre nonostante faccia molto freddo. Per me febbraio è stato un mese statico e mi chiedo se anche marzo seguirà le orme dell’indolenza. Tra due o tre mesi avrò la patente e forse mi recherò in Normandia per dare un’occhiata all’Atlantico. Mi piacciono i caselli autostradali, gli autogrill, il traffico serale, le frequenze disturbate dell’autoradio e il continuo scorrere del guardrail. Non ho nulla di cui preoccuparmi, almeno non al momento. Sono tranquillo, mi godo la placidità del mio tempo, ma mi rendo conto di non essere completo. Ho bisogno di un’evasa da un gineceo per lambire la felicità.